Un mese da volontaria in Zambia STORIE SOTTO L'OMBRELLONE

Il Giornale di Erba regala ai lettori di Giornaledicomo.it le più belle storie raccontate nel corso del 2019 sulle pagine del nostro settimanale. Una piacevole lettura sotto l'ombrellone.

Un mese da volontaria in Zambia STORIE SOTTO L'OMBRELLONE
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«E’ una scossa forte, che destabilizza tanto, ma ci vuole! E’ importante cambiare prospettiva e mettersi in relazione col mondo». La pensa così Maddalena Fusi, 23 anni, ma una consapevolezza e uno «sguardo» sul mondo ben più maturo della media dei suoi coetanei.

Un mese da volontaria in Zambia

E’ appena tornata da un mese di volontariato come infermiera in Zambia e, pur non essendo affatto la sua prima volta in Africa, questa esperienza davvero «sul campo», in ospedale, a contatto tutti i giorni con la vita e la morte esperite in maniera completamente diversa da come siamo abituati qui, le ha lasciato un segno difficile da metabolizzare. «Quando vivi un’esperienza del genere il ritorno alla quotidianità è davvero un trauma – ammette – Qua è davvero tutto diverso, ma ti rendi conto che non puoi essere tu quella che cambierà le cose e così ti senti disorientato sul tuo futuro. Ma è un’esperienza che auguro a tutti, che tutti dovrebbero fare».
Maddalena si è laureata in Infermieristica a novembre in Bicocca e prima di entrare a tutti gli effetti nel mondo del lavoro voleva fare un’esperienza di volontariato: «Una volta iniziato il lavoro sarebbe stato difficile avere un intero mese di ferie, così ho pensato di partire subito – racconta – Avrei voluto fermarmi anche di più, ma i paesi africani stanno mettendo un po’ di vincoli ai “visto” per lavoro, per cercare di far lavorare più i locali e meno gli esterni che arrivano da altri Paesi».

Il viaggio

La giovane erbese è partita il 10 gennaio per Chirundu, in Zambia, al confine con lo Zimbabwe, dove si trova il «Mtendere Mission Hospital» che appartiene alla locale Diocesi di Monza ed è amministrato dalla Diocesi di Milano in collaborazione con la congregazione delle Suore di Maria Bambina. «E’ un ospedale molto occidentale come formazione – ha spiegato Maddalena – La direttrice è una suora italiana, che ha quindi impostato l’organizzazione in maniera molto simile ai nostri, con i reparti. E per tutto l’anno ci sono chirurghi italiani che si danno il cambio».
Eppure si opera in un mondo completamente diverso, dove le priorità e il vissuto di vita, malattia e morte sono ben lontani dal nostro «sentire».

150 nascite e 5 morti

«Ho fatto tre settimane in maternità e nel solo mese di gennaio ci sono state 155 nascite – ha raccontato – C’è una media di sei nascite al giorno: le donne, ragazzine di 13-14-15 anni, arrivano da sole o al massimo con la mamma, quando sono già quasi completamente dilatate, partoriscono e se ne vanno quasi subito sulle loro gambe. La gravidanza, il parto, la nascita sono una cosa assolutamente naturale e normale. Ma purtroppo “normale” è anche la possibilità che il bambino muoia. Su 150 nascite ne sono morti 5 e la cosa non sconvolge e non scompone». Attenzione però a non confondere questo atteggiamento come mancanza di rispetto nei confronti della vita: «Per me è stata dura la prima volta che ho visto morire un bambino. Per noi è impensabile, è una tragedia. Poi le suore hanno aiutato me e le altre ragazze italiane presenti a elaborare la cosa e ci hanno fatto capire che se a seguito di complicanze da parto resta un bambino disabile non potrà avere una vita nel villaggio dove si vive in capanne, ogni giorno si fanno chilometri per andare a prendere l’acqua e i bambini già a un anno e mezzo di età, quando camminano, cominciano sostanzialmente a essere autonomi». Mondi diversi, dunque: «Non c’è un giusto e uno sbagliato, semplicemente molto diversi: per loro la morte fa parte della vita e quando è il momento si “lascia andare”. Non esiste minimamente l’accanimento terapeutico che c’è da noi».

L'oncologia non esiste

Discorso valido a maggior ragione per la Chirurgia, dove Maddalena ha trascorso poi la sua restante settimana: «L’oncologia non esiste: se si trova un cancro avanzato si richiude senza fare niente e si manda a casa con una preghiera. Anche in questo caso va visto nella loro prospettiva: i pazienti non possono essere seguiti in un “dopo”, men che meno a casa, e soprattutto non si può rischiare di avere morti in ospedale perché altrimenti le persone perdono fiducia nei medici e nel loro lavoro, fiducia conquistata molto a fatica, e poi non vengono più, rischiando così di perdere altre persone che si sarebbero invece potute salvare». Altissima la mortalità di bambini per asma e gastroenterite. Tantissimi gli interventi per morsi di animali, di coccodrilli, di serpenti, alta la percentuale di scottature con il fuoco. Un’età media di 60 anni al massimo.

Il senso della vita

«Questi viaggi ti riportano al senso della vita – fa notare la giovane – Per me non era il primo viaggio in Africa, sono stata come volontaria in Etiopia, Kenya, Ciad, Sudafrica. Però era una cosa diversa, in realtà diverse, con i bambini. In ospedale i rapporti sono più stretti e vedi le realtà più dure. Due volte la settimana, poi, facevamo il giro dei villaggi con l’ambulanza per raggiungere donne e bambini: si fanno i vaccini e le pesate ai bambini, con la bilancia appesa al ramo dell’albero; si fanno le iniezioni di anticoncezionali alle donne, anche se per loro è inconcepibile, perché l’arrivo di un bambino non è mai un problema, è nel ciclo naturale della vita».

Fare i conti e «scontrarsi» con culture, convinzioni, priorità così diverse a cui si è abituati non è facile, ma, secondo Maddalena, necessario: «Serve “guardare oltre e guardare fuori” per poter andare avanti. Per quanto traumatico sia è una cosa da fare assolutamente. Ti vengono in testa un sacco di domande. Non so ancora come risponderò nella mia vita, ma almeno comincio con le domande. Ora voglio iniziare a lavorare per avere una mia indipendenza, per poi continuare a viaggiare».

Erica Fusi

(Giornale di Erba, sabato 16 febbraio 2019)

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